Comitato Dora/Spina3

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Documento su Spina3 in occasione dell’assemblea nazionale del WWF del 23-25/11/2007 presso Envi Park

Spina 3 di Torino: un’occasione (finora) perduta di urbanistica eco-compatibile e partecipata

Il progetto di Spina 3, grazie ai notevoli fondi stanziati, doveva anche favorire la riqualificazione e la vivibilità dell’intera area ed ha dunque creato grandi aspettative, sia in chi abitava attorno alle fabbriche oggi dismesse che nei più di 10.000 nuovi residenti.
Tali aspettative sono state finora in gran parte deluse. Con ciò contraddicendo le enunciazioni, di sviluppo sostenibile e di riqualificazione del territorio circostante per contribuire al miglioramento della qualità della vita, che facevano parte di quel Programma di Riqualificazione Urbana (avviato 10 anni fa e prorogato, nella sua validità programmatica, fino al 2013) a cui sono state destinate ingenti risorse pubbliche.
Risorse pubbliche che, tra oneri di urbanizzazione, fondi PRIU e ministeriali e comunali sono valutabili ad oggi in 132 milioni di €, a cui si aggiungono 30 M€ di risorse private. Di questi 162 M€, se si escludono demolizioni, interventi viarii e parco (che avrà solo parzialmente la caratteristica di area verde tradizionalmente intesa) restano 13 M€ per le strutture sociali (istruzione e spazi attrezzati di verde pubblico) e cioè solo l’8% del totale.
In pratica, il programmato asilo nido / scuola materna, l’unica opera pubblica inizialmente prevista nel progetto di Spina tre, deve ancora essere progettato ed ha dovuto essere parzialmente anticipato da alcune aule, operative da settembre 2007 nell’ammezzato di uno dei palazzi dell’area Vitali.

Lo stesso Parco Dora, definito, nelle carte ufficiali e non nella propaganda spicciola, come “post-industriale” e “difficilmente paragonabile anche in futuro ad altre zone verdi torinesi” (come, ad esempio, il Valentino) è condizionato per un terzo da quella base di cemento delle ex-Ferriere che non è stata rimossa, come promesso, dalla precedente proprietà.
La stombatura della Dora tra via Livorno e corso Principe Oddone (opera di primaria importanza per l'attuazione e fruizione di una parte consistente del parco e che è in agenda almeno dall'ottobre 2000) vede un continuo rimpallo di competenze tre Fiat, CimiMontubi - ex IRI ora Fintecna - e Tribunale delle acque.
Inoltre la stessa scelta, apparentemente positiva, di concentrare in altezza la grande quantità di diritti edificatori concessa, lasciando al centro una grande area di 450.000 metri quadri, pone ora il problema di dotarla di strutture per lo svago, che siano sicure da frequentare e non corrano il rischio in prospettiva di essere privatizzate (in tal senso seguiamo con attenzione le proposte di valorizzazione delle sponde del fiume).
Anche qui dovrebbero essere i cittadini a poter suggerire le strutture più utili e frequentabili da tutti. In particolare, dal nostro punto di vista, si tratta di dare una destinazione sociale al capannone coperto dell’ex acciaieria e ai residui edifici del comprensorio Vitali, alla superstite casa di via Nole e a quella ex-Paracchi di via Pianezza, dove potrebbero trovar spazio attività utili al quartiere quali centri polivalenti e d’incontro e una biblioteca.
Inoltre nell’area ai confini del Parco sarebbero necessarie attrezzature per l’attività sportiva, mentre, allo stato, non sembrerebbero esser previste piste ciclabili dentro e ai confini del Parco, una scelta speculare a quella che non ha imposto l’installazione preventiva di rastrelliere per biciclette in nessuno dei nuovi insediamenti. Ciò che appare vieppiù contraddittorio in una città come Torino che detiene il primato delle polveri sottili disperse in atmosfera, soprattutto a causa dell’intenso traffico automobilistico.
Una maggior dotazione di alberi di alto fusto rispetto a quanto previsto contribuirebbe infine a mitigare l’inquinamento atmosferico e a rendere il parco più gradevole.

La memoria dei luoghi ex-industriali, ricca di storia sociale, non è stata valorizzata se non nella permanenza di alcune strutture, forse di difficile abbattimento, che corrono il rischio di non avere alcun significato per i nuovi abitanti e per le giovani generazioni, se a queste strutture superstiti, che dovrebbero poter essere valorizzate in funzioni non solo estetiche ma utili al quartiere, non è affiancata un’attività di conservazione della memoria dei protagonisti e un luogo fisico, tipo Museo del Lavoro di zona, per custodirla e renderla visibile.

Se Spina tre è stata dunque sicuramente un’opportunità di valorizzazione della rendita per le aziende ivi coinvolte (dalle iniziali Ipercoop e Medusa alle imprese costruttrici private o cooperative) appare per il momento un insuccesso sul terreno sociale, anche a causa della sfasatura temporale tra la realizzazione delle abitazioni (e la positiva assegnazione di alloggi di edilizia popolare, unico attivo finora del bilancio di Spina 3) e quella dei servizi.
La quantità di nuovi alloggi costruiti sta saturando un mercato immobiliare che, contemporaneamente, a Torino vede la presenza di migliaia di alloggi sfitti.
Inoltre, la decisione di non dotare inizialmente la zona di servizi pubblici aggiuntivi, la compresenza di numerosi cantieri (delle case e della viabilità) e l’incombente “vuoto” del futuro Parco Dora, hanno creato parecchi problemi, che avrebbero dovuto essere risolti con un deciso cambio di direzione delle politiche comunali.
Invece, in Municipio, si è continuato a lungo a ragionare come se la presenza di uno/due/tre supermercati potesse compensare l’assenza di nuove strutture pubbliche scolastiche e sanitarie e di biblioteche, centri d’incontro per giovani ed anziani, ecc…., strutture che ancor’oggi in gran parte non sono previste oppure sono da aprire (caso limite il Poliambulatorio di via Verolengo, allocato in una parte degli edifici della ex-Superga, il cui inizio-lavori è ormai in ritardo di 4 anni).

La necessità di strutture pubbliche è stata confermata anche dalle risposte al questionario distribuito ai residenti, nella primavera scorsa, dal Comitato Dora Spina tre, i cui risultati sono visibili sul sito del nostro Comitato.

Spina 3 avrebbe potuto essere un’occasione di cambiamento attento ai valori dell’ambiente, con la costruzione di insediamenti diffusi e vivibili, a basso impatto ambientale, edificati con una logica di risparmio dei consumi energetici (ciò che è stato fatto solo in EnviPark) e ben serviti da mezzi pubblici e piste ciclabili.
Si è sottovalutata invece la sostenibilità ambientale delle nuove immense residenze, perdendo un’occasione per costruire quartieri eco-compatibili e vivibili dove, ad esempio, diffondere la produzione di energia prodotta con l’installazione di pannelli solari e, attraverso la presenza diffusa di piste ciclabili e di rastrelliere per bici e il rafforzamento dei trasporti pubblici, ridurre l’utilizzo dell’automobile.
La stessa costruzione di case molto alte o arroccate su se stesse potrebbe porre in futuro di problemi di vivibilità non facilmente risolvibili nemmeno con l’applicazione di quel mix sociale che è stato adottato dal Comune nell’assegnazione degli alloggi.

Infine non sempre si è vigilato per diminuire l’impatto dei lavori in corso, tanto che la massiccia presenza di polveri, certamente non salutari, è stata la costante di tutta una prima fase, e, ancor oggi, alcuni cantieri convivono con case, da tempo popolate, alcune delle quali non hanno ancora avuto ufficialmente l’abitabilità.

La pressione dal basso dei cittadini e la presenza del nostro Comitato spontaneo hanno ottenuto alcuni primi risultati, come la nuova scuola materna – asilo nido di via Orvieto. E altrettanto positiva è l’assegnazione in affitto di molti nuovi alloggi ex-olimpici.
Ma finora la vivibilità complessiva di Spina 3 è insufficiente e lo sarà finché i cittadini non si mobilitano per poter decidere in prima persona delle strutture che riguardano il proprio quartiere. Per non essere solamente spettatori o soggetti da convincere di quanto deciso altrove.
Il progetto di Spina tre avrebbe potuto essere infatti un’occasione di urbanistica partecipata se il territorio fosse stato considerato un “bene comune” e affidato ai cittadini e alle Circoscrizioni un ruolo di suggerimento e d’indirizzo preventivo, onde non riprodurre gli errori della urbanizzazione dissennata degli anni Sessanta.
Carenti sono state finora, nella vicenda di Spina tre, sia il ruolo di quelle Circoscrizioni, che contribuiamo ad eleggere come istituzioni le più vicine ai cittadini, che la capacità di ascolto e di autocritica da parte della macchina comunale, non nella logica di convincere che quanto fatto è bello o sufficiente, ma in quella di far partecipare realmente i cittadini alle decisione sulle necessità del proprio quartiere.
Una scelta, quest’ultima, che rafforzerebbe il senso di appartenenza e di cura di un territorio condiviso e sentito come proprio.

Parliamo di ruolo delle Istituzioni elettive come interlocutrici dei cittadini perché vediamo con preoccupazione il diffondersi di organismi e di centri decisionali costituiti da funzionari comunali e/o da consulenti esterni che corrono il rischio di annullare qualsiasi ruolo del cittadino e della società civile che non sia quello di decidere di partecipare a tavoli preconfezionati nelle loro conclusioni o di praticare una logica clientelare alla ricerca di risposte ai bisogni del proprio quartiere. In sostanza, non vorremmo che la propaganda mediatica sulla bellezza del futuro Parco Dora, i cui finanziamenti sono in gran parte da arrivare, sia essenzialmente veicolo per convincere all’acquisto di nuove abitazioni. Dal canto nostro, vigileremo, per quanto sta nelle nostre possibilità di comitato spontaneo di cittadini, per valorizzare al meglio le opportunità di una zona in trasformazione, onde evitare che parti del contesto corrano il rischio di assumere via via connotati di degrado urbano e sociale.

Novembre 2007