UN DIBATTITO COLL'ASSESSORE VIANO
UN CONTRIBUTO AD UNA DISCUSSIONE SULL’URBANISTICA A TORINO
A PARTIRE DA UN CASO CONCRETO
SPINA TRE: UN’OCCASIONE PERDUTA
OGGI A TORINO SERVE UNA PIANIFICAZIONE PARTECIPATA DEL TERRITORIO, DA VIVERE COME “BENE COMUNE”
La progressiva dismissione delle grandi fabbriche del comprensorio industriale torinese lungo il corso della Dora, tra i corsi Principe Oddone e Potenza, ha comportato la perdita di migliaia di posti di lavoro, sicuramente non compensabili dalle varie forme di attività terziarie nate o da far nascere nelle nuove strutture dell’area dismessa.
Ma avrebbe potuto anche rappresentare un’opportunità di miglioramento della qualità della vita negli storici quartieri (San Donato, Borgo Vittoria e Madonna di Campagna) che con quelle fabbriche avevano convissuto per decenni e patito gli alti livelli d’inquinamento.
Il progetto di Spina tre avrebbe potuto essere un importante esempio di urbanistica partecipata, se solo si fossero coinvolte effettivamente le Circoscrizioni, la varia e articolata società civile, i singoli cittadini disponibili a “dare una mano” per il miglioramento del proprio quartiere. Se fosse stato loro affidato un potere di suggerimento e d’indirizzo preventivo, considerato il territorio un “bene comune” e la chiusura delle fabbriche una possibilità di nuovo sviluppo cittadino che non riproducesse gli errori dell’urbanizzazione dissennata degli anni Sessanta.
Non essere solo, come invece è avvenuto, una ghiotta occasione di valorizzazione della rendita.
Spina tre avrebbe potuto essere anche un’occasione di crescita sostenibile, attenta all’ambiente, con la costruzione di insediamenti diffusi e vivibili, a basso impatto ambientale, edificati con una logica di risparmio dei consumi energetici e ben serviti dal mezzo pubblico e da piste ciclabili.
Avrebbe potuto avere al centro la necessità di aggregazione dei cittadini, la socialità, la cultura, la conservazione della storia locale (in questo caso, la storia del lavoro nella grande industria) per farne un elemento di condivisione tra vecchi e nuovi residenti di uno spazio pubblico sentito come proprio.
E per questo dotato fin da subito delle essenziali strutture pubbliche: scuole ed asili, centri d’aggregazione e biblioteche, campi sportivi e aree gioco bimbi, uffici postali, strutture sanitarie ed assistenziali ....
Invece in quel milione di metri quadri sulle due rive della Dora si è decisa la costruzione di edifici che, al di là del giudizio estetico che è sempre soggettivo, non favoriscono nessuna delle esigenze elencate in precedenza.
Al contrario, e anche grazie all’iniziale assenza di qualsiasi nuova struttura pubblica, il tipo di edifici costruiti, o molto alti o arroccati su se stessi, possono creare tutte le premesse per ulteriori rotture sociali: tra vecchi e nuovi residenti, tra case di prestigio e grattacieli “popolari”, tra chi, ad esempio, ha i giardinetti privati nel cortile della propria casa e chi aspetterà il “verde” del nuovo Parco Dora, tra chi ha
nel proprio bagno la tanto pubblicizzata vasca per idromassaggio e chi continua da anni ad aspettare il Poliambulatorio nella ex-Superga.
Se Spina tre è stato sicuramente un successo per le aziende coinvolte, dalle iniziali Ipercoop e Medusa alle imprese costruttrici, private o cooperative, che l’hanno fatta da padrone sul territorio, per il momento appare un fallimento sul terreno sociale.
Ciò che anche l’Amministrazione Comunale ha infine, implicitamente, riconosciuto con la tardiva costituzione di un Comitato di accompagnamento del progetto, finanziato e partecipato dalle imprese costruttrici e con la presenza di Curia e funzionari comunali (cui solo in ultimo, sintomaticamente, sono stati aggiunti i “rappresentanti dei cittadini”).
Comitato istituzionale che ha tutta l’aria di essere un carrozzone burocratico buono, nella migliore delle ipotesi, solo a raccogliere, come un qualsiasi numero verde, le richieste di panchine e fontanelle dei cittadini potenzialmente inclini alla protesta e irritati sia dalla mancanza di strutture pubbliche che dalla cantierizzazione permanente che li circonda (i costruttori hanno a disposizione fino a dieci anni per aggiungere alle nuove case le pertinenti opere di urbanizzazione).
Sconcertante è stata, nella vicenda di Spina tre, la carenza di ruolo propositivo delle Circoscrizioni, quelle che contribuiamo ad eleggere come Organismi politici i più vicini ai cittadini. Assurda l’incapacità di ascolto da parte delle Istituzioni: significativa in tal senso, nel giugno 2005, l’assemblea pubblica con più di 500 persone presso lo Sporting Dora, dove è stata ribadita con sicumera la validità di un progetto senza strutture pubbliche, quasi si trattasse solamente di facilitare la vendita delle case in costruzione.
Difficile recuperare oggi una tale distorsione progettuale, mentre stanno arrivando 11.000 nuovi residenti, a cui vengono offerti solo spazi commerciali come luoghi di consumo e di aggregazione alienata.
Ma forse è ancora possibile cambiare rotta.
A partire dalla necessità di un rilancio della pianificazione urbanistica, di un ruolo più forte d’indirizzo degli Enti pubblici democraticamente eletti, dalla dotazione prevista per legge di spazi e strutture pubbliche per ogni nuovo agglomerato, dalla sperimentazione di nuove forme di partecipazione dei cittadini alla Cosa Pubblica.
In questo senso il Comitato Dora Spina tre, nato da ormai due anni come luogo di partecipazione attiva dei cittadini, ha proprio in questi giorni lanciato una proposta, supportata dall’adesione di quasi 600 cittadini della zona, di praticare da subito nella zona delle vie Giachino-Tesso-Orvieto (una zona che ha necessità di servizi pubblici e di riqualificazione urbana che compensi anche i tanti disagi subìti) un coinvolgimento democratico effettivo e preventivo che veda i cittadini, vecchi e nuovi residenti, partecipi in prima persona nell’indirizzo e nelle priorità della spesa pubblica.
Torino, luglio 2006